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Cronaca

Ai concerti di Ravello il viaggio di Ulisse nel pianoforte di Mattia Mastrangelo

Inserito da (Redazione), lunedì 15 ottobre 2018 10:26:12

Torna ad esibirsi a Ravello Mattia Mistrangelo. Stasera (lunedì 15 ottobre), nella suggestiva location del Complesso monumentale dell'Annunziata, il pianista milanese presenta un programma di pezzi che ripercorrono in maniera evocativa il viaggio di Ulisse e la sua storia narrata da Omero. Si comincia con "il ritratto di Ulisse" rappresentato dalla Sonata per pianoforte n. 21 di Franz Schubert.

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Nel settembre del 1828, due mesi prima della morte, Schubert porta a termine tre grandi Sonate per pianoforte: la Sonata in do minore D. 958, la Sonata in la maggiore D. 959 e la Sonata in si bemolle maggiore D. 960, accomunate dalle ampie dimensioni, dalla struttura in quattro movimenti e dal frequente ricorso a toni liederistici.

La Sonata in si bemolle maggiore D. 960, ultima della triade e dell'intera produzione schubertiana, viene terminata il 26 settembre del 1828 ed eseguita in pubblico per la prima volta già il giorno dopo.

La figura di Telemaco figlio di Ulisse, è collegata all'Idillio di Sigfrido di Richard Wagner, nella trascrizione per pianoforte opera di Glenn Gould.

Delicato regalo di compleanno di Wagner a sua moglie, Cosima Liszt, l'Idillio di Sigfrido è uno dei rari pezzi non operistici del compositore tedesco; il titolo fa riferimento a suo figlio Siegfried di 18 mesi.

Gould si avvicinò al mondo della trascrizione quando il settore accademico si scandalizzava di questi "sacrilegi" operati nei confronti di celebrati capolavori.

Per l'ennesima volta egli aveva avuto il coraggio di andare controcorrente non per spirito ribelle, ma perché si era accorto della bellezza di brani rivisitati anche in altre dimensioni sonore.

Itaca, terra natale di Ullisse e meta finale delle sue peripezie, è associata alla Toccata per pianoforte di Goffredo Petrassi.

 

Sempre nel complesso monumentale dell'Annunziata i pianisti Lidia Ciocchetti e Luca Mennella si avvicenderanno mercoledì 17 ottobre nelle esecuzioni del Concerto n.2 op.21 di Fryderyk Chopin, nella trascrizione per pianoforte e quartetto d'archi e del quintetto per archi e pianoforte op.34 di Johannes Brahms.

 

Le non molte composizioni per pianoforte e orchestra di Chopin furono tutte scritte negli anni giovanili, prima di lasciare Varsavia, sotto l'influenza d'un ambiente musicale un po' provinciale e superficiale, che nel concerto vedeva soltanto l'occasione in cui un solista di cartello poteva esibire il suo virtuosismo. E questo vale sicuramente anche per il concerto n. 2: tuttavia il non ancora ventenne compositore lascia emergere anche in questo lavoro giovanile più d'una anticipazione della sua scrittura pianistica, del suo fascino melodico e del suo colorito armonico, inconfondibili. Il Concerto è dedicato alla contessa Delphine Potocka, una bellissima giovane aristocratica falsamente ritenuta un'amante di Chopin. Semmai la musa ispiratrice di questo Concerto fu Konstancja Gladkowska, studentessa di canto al conservatorio di Varsavia. Di lei Chopin scriveva a un amico: «Forse, per mia sfortuna, ho trovato il mio ideale, a cui sono rimasto fedele, pur senza dirle una parola, per sei mesi; quella che sogno, a cui ho dedicato l'Adagio del mio Concerto...». E infatti Chopin si abbandona ad ardenti toni melodrammatici nella parte centrale dell'Adagio, mentre nel resto del Concerto domina un tono elegante, malinconico, sognante, intimo.

 

Ognuna delle composizioni composte da Brahms è frutto di un'opera di rifinitura attenta e scrupolosa, compiuta da un compositore che ha conservato intatta la concezione artigianale del fare musica. Il quintetto per archi e pianoforte op. 34 ne è una perfetta dimostrazione.

Brahms comincia a lavorarne alla composizione, inizialmente concepita per un organico di cinque archi (con due violoncelli), già nel 1861. Ma la prima versione del Quintetto è pronta solo alla fine dell'estate 1862. Il lavoro, sottoposto al giudizio di amici e colleghi, tra cui in prima linea Clara Schumann, non risulta soddisfacente. In particolare la Schumann, nelle sue lettere a Brahms, ben ne evidenza il difetto principale: l'evidente squilibrio tra il grandioso contenuto musicale e la veste strumentale scelta per esprimerlo. In sostanza Clara denuncia la «pochezza» dei soli archi, inadatti a esprimere il gusto per la sonorità piena, per il timbro ricco e ben nutrito già caratteristici delle pagine pianistiche di Brahms e dei suoi primi lavori cameristici.

 

Così il compositore amburghese decide di abbandonare l'organico prescelto in favore di tutt'altra formazione strumentale: riscrive il materiale musicale sotto forma di sonata per due pianoforti. Ma sarà sempre la moglie di Schumann, musicista e compositrice ella stessa, a sottolineare quanto anche la nuova Sonata per due pianoforti sia timbricamente inadeguata convincendo Brahms a ritornare all'organico inizialmente scelto. Dopo quattro anni di ripensamenti e rifacimenti, tra l'estate e l'autunno del 1864 Brahms perviene alla terza e ultima versione del suo unico Quintetto per archi e pianoforte: il compositore è riuscito così a risolvere il problema della convivenza tra due entità foniche differenti, riservando al pianoforte un ruolo di primaria importanza, di stampo concertante, e assegnando agli archi il compito di trasmettere, grazie a un'infinita serie di giochi e rimandi timbrici, il senso di una spazialità di tipo sinfonico-orchestrale.

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