Tu sei qui: CronacaMozart, Beethoven, Liszt e Ravel nel week-end pianistico della Ravello Concert Society
Inserito da (Redazione), venerdì 21 giugno 2019 08:48:52
A Ravello un fine settimana con i capolavori di Mozart, Beethoven, Liszt e Ravel eseguiti sul gran coda del complesso monumentale dell'Annunziata.
Dopo il concerto del Trio Parsifal di mercoledì scorso (nella foto), la Società dei Concerti propone due appuntamenti dedicati alla musica per pianoforte.
Stasera, (venerdì 21 giugno) Luca Mennella apre il suo recital con la Fantasia in Re maggiore K397, mirabile esempio dell'incredibile abilità di Wolfgang Amadeus Mozart nell'improvvisare alla tastiera. Il pezzo infatti si presenta più come l'annotazione di una di queste improvvisazioni che non come una composizione finita. Realizzata nel 1782 e lasciata incompleta da Mozart, questa pagina straordinaria fu pubblicata postuma a Vienna nel 1804, e oggi la si esegue generalmente nella versione completata da August Eberhart Müller. Segue poi la Sonata n. 15 in re maggiore, op. 28 di Ludwig van Beethoven, nota con il titolo descrittivo "Pastorale", che ritroviamo già in una edizione del 1805. La sonata non ha alcun rapporto con l'omonima Sinfonia del 1808, se non perché in entrambe le composizioni sono presenti stilemi per evocare ambienti pastorali, in particolare, per la Sonata, quelli riecheggianti il suono delle cornamuse. Nel secondo tempo Mennella propone La ballata in si minore di Franz Liszt che rievoca il mito classico di Ero e Leandro. Il giovane Leandro raggiungeva a nuoto tutte le notti la sua amata Ero, sacerdotessa di Afrodite, che teneva accesa una lampada per indicargli l'approdo. Durante una notte tempestosa il lume si spense e Leandro morì annegato. Il dolore spinse la sacerdotessa ad uccidersi, lanciandosi da una torre. Il mito di amore e morte, molto amato dagli artisti romantici, fornisce l'orizzonte simbolico di questo brano virtuosistico, percorso da un'angosciosa fatalità. A conclusione del recital la famosissima Rapsodia ungherese n. 2, sempre di Liszt. Le Rapsodie Ungheresi (S. 244) sono una raccolta di 19 brani per pianoforte. Hanno una forma libera, ispirata ai moti patriottici ungheresi del 1848. Sei rapsodie sono poi state riadattate dallo stesso Liszt per orchestra e alcune di esse sono diventate celebri, come le n. 2, che è il brano più famoso della raccolta, dedicato al conte László Teleki. È considerata una delle pagine più difficili mai scritte nella storia pianistica, per via delle numerose difficoltà tecniche quali trilli, accordi in elevata velocità, numerosi ribattuti, grandi distanze da coprire rapidamente e passaggi di grande virtuosismo.
Domani, sabato 22 giugno, Raffaele Maisano presenta un concerto antologico, interamente dedicato ai due grandi autori impressionisti Claude Debussy e Maurice Ravel.
Nella prima parte del concerto una scelta di brani nei quali Ravel segue una ben precisa linea compositiva, basata sulla riproposizione in termini moderni della musica del passato, una ricostruzione a volte velata di nostalgia del buon gusto antico.
Si comincia con la "Pavane pour une infante défunte", composta da Ravel all'età di 24 anni, nel 1899, quando era studente presso il Conservatorio di Parigi con l'intento di descrivere la danza che una piccola principessa (infante è proprio il titolo attribuito, nelle monarchie spagnola e portoghese, alle figlie cadette del re) avrebbe ballato nei tempi passati alla corte di Spagna. E' evidente il collegamento con l'eredità spagnola dell'autore di origini basche. In seguito Ravel scriverà altri brani collegati a reminiscenze di vita spagnola, quali la "Rapsodie espagnol"e e il Bolero.
Segue la "Sonatina" in fa minore che, composta nel 1905 per un concorso indetto da una rivista musicale, incontrò subito un grosso successo e fu dedicata dall'autore ai coniugi Godebsky, nel cui salotto di Parigi nei primi anni del Novecento si raccoglievano ogni sera artisti più o meno illustri.
Poi i "Valses nobles et sentimentales", una serie di otto valzer per pianoforte, composti nel 1911 ed ispirati a quelli di Schubert, che, con la sua cospicua produzione, aveva consolidato la tradizione «viennese» di questa forma di danza. Nonostante tale dichiarato richiamo, nei "Valses nobles et sentimentales" la tradizione viennese appare rivisitata in chiave squisitamente parigina, secondo i canoni di eleganza e di "décor" salottiero. L'autore appose all'inizio della partitura come epigrafe i versi di Henri de Régnier: " ... le plaisir délicieux et toujours nouveau d'une occupation inutile" (il piacere delizioso e sempre nuovo di un'occupazione inutile).
Conclude la prima parte del recital il brano "Alborada del Gracioso" tratto dalla raccolta "Miroirs", che, come scriverà poi lo stesso Ravel..."segna un cambiamento considerevole nella mia evoluzione armonica, al punto da disorientare perfino i musicisti che fino ad allora erano più abituati al mio stile".
Protagonista del secondo tempo del concerto è Claude Debussy, principale esponente, assieme allo stesso Ravel, dell'impressionismo musicale.
La Suite bergamasque fu composta da Claude Debussy nel 1890 e successivamente rielaborata nel 1905, assumendo così la forma in cui noi oggi la conosciamo. Dal titolo possiamo ricavare alcune utili indicazioni sulla composizione: il termine suite sta ad indicarci una serie di brani ispirati alle movenze e ai ritmi di balli popolari o cortigiani, mentre con bergamasque ci si riferisce alla città di Bergamo ed alle maschere della commedia dell'arte. La suite è un lavoro estremamente gradevole, il più popolare in assoluto di tutta l'opera di Debussy, particolarmente per quel Clair de lune, terzo dei quattro pezzi che compongono la Suite, carico di un atteggiamento sentimentale di immediata presa.
Anche l'ultimo brano in programma, Pour le piano, è una suite. Colpisce da subito la semplicità del titolo, che non presenta alcuna indicazione letteraria o naturalistica, cosa inconsueta nel repertorio pianistico di Debussy. E sotto il velo della semplicità, traspare il riferimento alla musica antica per strumento a tastiera o per liuto: potremo definirla un'opera di transizione nel linguaggio pianistico di Debussy tra le influenze dei clavicembalisti francesi e la ricerca di una cifra compositiva originale.
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