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Cronaca

Ravello e la pia devozione dei Battenti

Inserito da Luigi Buonocore (Redazione), martedì 31 marzo 2015 09:18:26

di Luigi Buonocore

«E' primavera e laggiù, sui monti degli Alburni, già si sono sciolte le nevi! Da quei rosei contrafforti degradanti sulla piana del Cilento - traslucenti, meravigliose "quinte" al Golfo di Salerno - giunge a noi, sulla costa d'Amalfi, un sole novello sotto il quale svaporano, in leggera nebbiolina azzurrognola, vigneti e agrumeti. E' la stagione che coincide con la settimana cosiddetta della "Passione" e così, mentre per l'aria già vanno sottilissimi profumi di fresie e di viole a ciocche, ci par di sentire echi di antiche melodie, meste e dolenti, rievocanti, in maniera popolare, il compimento del dramma di Gesù sulla terra». (Mario Schiavo)

A Ravello i "Battenti", eredi della pia devozione che ha animato il cammino delle Confraternite sin dal XV secolo, costituiscono ancora oggi la forma più spontanea e commossa di partecipazione popolare in questo tempo forte dell'anno liturgico.

Nella notte tra il giovedì e il venerdì della "Settimana Santa", notte di adorazione e di meditazione, la preghiera indossa il "sacco" bianco con cappuccio e cingolo, diventa canto che affida ai melismi del sacro corteo, in visita agli altari dove è riposto Gesù Sacramentato, la tristezza dell'uomo innanzi ai Misteri della Passione, Morte e Sepoltura di Cristo.

Spente ormai le luci e velate le sacre immagini, in una mistica atmosfera si attende la processione penitenziale. I primi passi vengono mossi dall'«antica Congrega», attigua alla ex cattedrale, luogo d'arte e di preghiera in cui, per l'intera Quaresima, le dolenti vocalità dei cantori ravellesi hanno risuonato tra le candide modanature in stucco, ma anche luogo della memoria in cui l'iscrizione «In Nomine Iesu 1883», racchiusa nelle dolci volute di gusto rococò, è ancora capace di evocare l'esempio dei confratelli votati al SS. Nome di Gesù.

Il pietoso ufficio di questa «liturgia minore» ripercorre il doloroso viaggio della passione e le sofferenze della Vergine Maria, con toni drammatici e genuini, si dispiega per le antiche vie dell'antica città episcopale, ne lambisce i chiostri, i casali, le orgogliose case turrite, le umili vestigia ormai diroccate. Un viaggio tra i luoghi in cui, nei secoli passati, la sensibilità religiosa ha fatto sbocciare straordinarie esperienze spirituali, caritative ed assistenziali. Le voci in accordi polifonici esprimono il pathos del sentimento popolare. I versetti accorati, tramandati di padre in figlio, si innalzano al cielo stellato del plenilunio e si diffondono come luce livida che brilla nell' oscura solitudine dell'uomo mentre l'odore soave della zagara si diffonde tra le contrade accarezzate da un candido fiume, a tratti silente e lamentoso, di penitenti incappucciati.

E qui concludiamo con una immagine del Venerdì Santo, giorno della passione e morte del Signore, del digiuno come segno di partecipazione al suo sacrificio, suggellato dalla solenne processione con grande concorso di popolo fedele. Lo vogliamo fare ancora una volta con le parole del M° Schiavo mentre, alle prime luci della sera, riecheggiano i toni gravi e mesti della banda musicale che, all'uscita dei simulacri, accompagnano «l'amaro pianto della dolente Madre».

«Sulle note di questi canti, espressione familiare devota di nostra gente, ci par di rivedere volti di persone che furono» mentre il pensiero corre alla fervida e spontanea partecipazione dei tanti che hanno dato voce ad uno straordinario patrimonio di valori in cui si riconosce una città dalle radici sante.

«Una folla di uomini di ogni condizione che s'accalca e s'appresta a cantare spontaneamente, un nugolo di bambini vestiti da "angeli" elevati o sciamati in processione nell'ora in cui "si copre il sole" e salgono verso il cielo che imbruna le ultime parole: Trema commosso il mondo, il sacro Vel si spezza, piangon per tenerezza, i duri sassi ancor».

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