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Amalfitano replica a Di Mare su Cormez: «Ravello, un marchio che ha bisogno di interventi specifici»

Inserito da (Redazione), lunedì 7 dicembre 2015 00:17:26

E' il segretario generale della Fondazione Ravello, Secondo Amalfitano, a replicare l'articolo del giornalista Rai Franco Di Mare apparso venerdì 4 dicembre scorso sul Corriere del Mezzogiorno dal titolo "Ravello che ha perso se stessa". Di seguito il testo integrale della lettera a firma di Amalfitano pubblicata domenica 6 dicembre.

Ravello era conosciuta nel Mediterraneo già dall'anno mille, grazie a intraprendenti nobili-commercianti che dalla Repubblica di Amalfi incominciano a salpare per i mari diffondendo dappertutto, in uno ai prodotti materiali del lucrativo commercio, un'immagine ed una fama immateriale non meno importante ed economicamente produttiva. Un'ascesa continua fino al 1400, che si trasforma in un letargo dimagrante abbastanza lungo, interrotto dal Gran Tour europeo che, nel riscoprire la storia e la bellezza dei luoghi, innesca un nuovo rinascimento economico e culturale che, piano piano, trasforma una realtà prettamente agricola, in un modello industriale di turismo moderno. Ravello, prima "Azienda di Soggiorno, Cura, e Turismo" d'Italia, battezzata tale da un Regio Decreto, si afferma sul panorama internazionale e vara quello che oggi è diventato uno dei festival più longevi e famosi del mondo. Dall'immediato dopoguerra, e fino agli anni '90, è un continuo crescere strutturale ed infrastrutturale. Un trend costante di crescita del PIL, delle strutture alberghiere, del reddito medio pro-capite. Verso la fine degli anni novanta, - absit iniuria verbis, Cicero pro domo sua, chi più ne ha ne metta - succede una cosa straordinaria per il nostro Mezzogiorno, ma anche per la nostra Italia: Ravello cerca di travasare in un "Progetto" il suo passato, il suo presente, ma soprattutto il suo futuro. Nasce il "Progetto Ravello" che è un mix di materiale ed immateriale da mettere in rete e a sistema, da codificare, programmare, realizzare e gestire. Due i perni del progetto: un auditorium e una Fondazione. Si realizzano entrambi: una delle pochissime opere di architettura contemporanea realizzate in Italia a firma del più prestigioso architetto vivente, e un organismo giuridico innovativo per la gestione dei Beni Culturali. Ma in concreto cosa si è prodotto? Si sono raddoppiati i posti letto dell'offerta turistica complessiva (alberghiera ed extralberghiera); il reddito medio pro-capite è notevolmente aumentato; il numero delle attività economiche (partite IVA) è più che raddoppiato; da una offerta culturale (Festival e Villa Rufolo) gestita totalmente da "NON ravellesi", si è passati ad un'offerta culturale gestita totalmente da "Ravellesi" con maestranze di assoluta professionalità; le presenze e gli incassi dell'offerta culturale si sono più che raddoppiati; il modello gestionale realizzato dalla Fondazione Ravello è fra i migliori in Italia, e per certi aspetti unico; Villa Rufolo, che con la morte di Nevile Reid (1892) si era letteralmente bloccata, ha ripreso "a fiorire" anche qui grazie ad un progetto di sviluppo che negli ultimi due anni ha visto interventi di restauro, di ammodernamento e di musealizzazione, straordinari ed unici. Ognuna di queste affermazioni richiederebbe e meriterebbe pagine e pagine di interi giornali e libri; per assurdo va detto che, sia pure in modo frammentario e minimale, tutti i media si sono occupati dei singoli tasselli, senza mai preoccuparsi di parlare del mosaico. Sicuramente la colpa è di Ravello che non ha saputo "vendere e comunicare", ma altrettanto sicuramente parte di questa colpa è di analisi superficiali, spesso incomplete che vogliono assurgere a "verità" e che mortificano lavoro, sacrifici e risultati che meriterebbero ben altra storia e riconoscimento. Se a tutto quanto detto aggiungessimo altre valutazioni e riflessioni, il quadro sarebbe ancora più esaltante. Ma forse un tentativo va fatto. Bilbao, Bayreuth, Auditorium di Roma, Salisburgo, sono diversi e tanti i modelli con i quali Ravello si confronta quotidianamente anche nella testa e nelle parole di molti. Questo confronto mi ricorda tanto il paragone che da bambino sentivo fare agli emigrati Ravellesi al loro rientro vacanziero in paese (a proposito, una volta, e fino a qualche decennio fa, da Ravello si emigrava per fame, oggi non si emigra più, anzi, si accolgono migranti e mano d'opera), dicevano spesso: "ma a Londra è meglio"! Servizi, sanità, trasporti, etc. messi a confronto fra una realtà di milioni di abitanti ed una di 2.500. Volendo rimanere sui ricordi, nei documenti di mio nonno, (vecchio maresciallo di un Corpo Forestale che in Costiera Amalfitana serviva molto di più di Finanza, Carabinieri e Polizia), rinvenni uno studio da lui fatto sul carico limite di ovini e caprini che la penisola Sorrentina poteva permettersi. Oltre quel carico limite sarebbe stata la morte per tutti gli animali. Orbene, qualcuno si è posto la domanda su qual è il carico limite antropico della Costiera Amalfitana e di Ravello? Che senso avrebbe lavorare per portare a Ravello i milioni di visitatori e spettatori del Guggenheim o dell'Auditorium di Roma? Ravello deve lavorare: un poco, per tentare di saturare la sua offerta turistica durante tutto l'anno; molto, per elevare lo standard qualitativo culturale ed economico della sua offerta e dei suoi fruitori; tantissimo, per diventare volano di un territorio, quello Campano, in deficit di crescita e di immagine. Gli attacchi che spesso qualcuno muove alla Regione Campania per i suoi investimenti su Ravello, sono quanto di più becero e sciocco si possa sentire. La Regione Campania è fra le più "scarse" d'Italia in quanto a "Brand Regionale" o "Marchio Regionale": quasi sempre le eccellenze della Campania (Capri, Amalfi, Positano, Pompei, Paestum, e fortunatamente tanti altri ancora) non solo non si associano al "Marchio Campania", ma addirittura tendono a prenderne le distanze per non essere penalizzati da fenomeni, quelli sì a "marchio Campania", quali camorra, spazzatura, terra dei fuochi, etc. Orbene Ravello, e con lei le altre eccellenze, devono invece lavorare tantissimo per far crescere questo marchio, e con lui la ricaduta positiva sull'intero territorio. Ovviamente il processo è complicato, lungo, difficile. Ad esso concorrono mille fattori alcuni endemici e quasi cromosomici, ma bisogna tentare tutti insieme di raggiungere lo scopo. Ravello la sua parte fino ad ora l'ha fatta egregiamente bene; ma, oltre a quanto fa direttamente, necessita che una strada di adduzione non resti chiusa da quattro anni (la Sp1), che gli interventi di disinquinamento procedano spediti, che i trasporti siano efficienti, che la cultura, o meglio la consapevolezza culturale, cresca e nella direzione giusta; serve che la stampa ed i media facciano la loro parte amplificando il tanto di buono che quotidianamente c'è e si fa. Un esempio? La Fondazione Ravello ha gestito negli ultimi 4 anni progetti per circa 13 milioni di euro di fondi europei e nazionali, realizzando opere ed eventi; tutto perfettamente eseguito, nei tempi e nei termini di una normativa europea che non fa sconti a nessuno. Vi assicuro, una cosa straordinaria ed unica, possibile solo grazie a: competenza, onestà, trasparenza, organizzazione. Parlare di "Città immobile", prima ancora che non vero e non corretto, è da iattura. Ravello è viva e mobile, forse fin troppo. Probabilmente questo ultimo anno di frizioni e contrapposizioni è proprio dovuto ad un eccesso di "mobilità" e, forse, ad un eccesso di interessi legati proprio all'eccellenza raggiunta. Dovrebbero fare notizia tutti gli indicatori in crescita ed un bilancio solidamente in attivo, invece fanno notizia qualche nomina o mancata nomina, e qualche dimissione o mancata dimissione. Viva l'Italia! Ravello è nelle mani del mondo, non servono i taumaturghi, servono persone sensibili ed oneste, culturalmente elevate e preparate, poco desiderose di "stage" (all'inglese) ma avide di "backstage". Franco Di Mare ed il Corriere del Mezzogiorno sono benvenuti, graditi ed attesi.

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