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Storia e Storie

Ravello, un anno senza Paolo Signorino

Inserito da (Redazione), mercoledì 23 marzo 2016 10:26:24

di Luigi Mansi

Un anno fa (il 24 marzo 2015) se ne andava Paolo Signorino. Ravello ha voluto ricordare l'amico, l'artista, il concittadino in una commovente serata svoltasi all'auditorium "Niemeyer", l'estate scorsa. In quella occasione, tutta quella grande famiglia ravellese che aveva adottato Paolo e che Paolo aveva adottato si strinse in un commovente e intimo ricordo dell'amico da poco scomparso. In seguito, qualche mese dopo, la cara sorella Anna ha voluto tributare un omaggio al Comune e, dunque, a Ravello tutta, donando una meravigliosa opera di Paolo esposta ora nelle sale di Palazzo Tolla. Si tratta di un'opera particolare, raffigurante sir Francis Nevile Reid. Il quadro faceva parte della mostra "Ravello: il viaggio" tenuta nel 1995 nella Chiesa di Santa Maria Gradillo: la mostra era in realtà una galleria di ritratti di letterati, filosofi, musicisti e viaggiatori illustri innamorati di Ravello, tra cui il nobile scozzese Nevile Reid. Questa opera Paolo non la volle vendere nonostante le numerose richieste, dal 1995 in poi, l'aveva custodita nella sua casa di Torello e, chissà, forse perché, in cuor suo, sperava che un giorno quel quadro potesse essere ammirato da tutti i suoi concittadini. E così è stato. Ora quel quadro ha reso indissolubile il rapporto di Paolo con la sua Ravello e noi, a un anno esatto dalla sua scomparsa, vogliamo ricordarlo riproponendo una sua intervista resa alla giornalista Erminia Pellecchia, in occasione della mostra che Paolo Signorino tenne a Palazzo Sant'Agostino (sede della Provincia) nel 2006. L'appassionato racconto è forse, dopo le sue opere evidentemente, una delle più belle testimonianze dell'amore di Paolo per Ravello.

Stasera (23 marzo), alle 18, una messa di suffragio sarà celebrata nella Chiesa di Santa Croce di Torrione a Salerno.

 

l gallerista militante. Minori era il mare, la libertà, la spensieratezza. Ravello un altrove agognato, una meta vicina e pure irraggiungibile. Ne ero attratto e sgomento. Dalla spiaggia vedevo la sagoma allungata a forma di nave del Cimbrone, dalla finestra della mia camera da letto il Monte Falesio e la collina di San Nicola: erano l'altra Costiera, violenta, selvaggia, il territorio nascosto, ciò che il mare con la sua seducente bellezza cela, rimuove.

Visione di una natura possente, volevo farle mie e nello stesso tempo provavo un senso di vertigine, di spaesamento. Ad accompagnarmi per mano in questi percorsi segreti è stato Bruno Mansi, ancora oggi mio compagno di viaggio in una Ravello che ha sempre qualche inedito da mostrare.

Ho conosciuto Bruno, comunista militante col pallino dell'arte, a metà circa degli anni settanta. Ero appena tornato da Milano dove avevo partecipato a una collettiva omaggio sul tema della resistenza. Bruno cercava dei quadri da mettere all'asta per finanziare la Festa dell'Unità, non mi tirai indietro alla sua richiesta, né a tutte le altre, anche le più balzane che ha rivolto nei trent'anni e passa di sodalizio nel segno dell'arte e dell'amicizia. Abbiamo esposto per strada, lungo i muri, in chiostri abbandonati e giardini diruti. Non mi lamento, è stata un'occasione unica, il modo più diretto per diventare parte integrante di un luogo difficile e ritroso com'è Ravello.

La prima mostra con Bruno è del '77, al Tennis Club. Riproposi Foto/Grafie che avevo da poco allestita alla galleria Taidedi Salerno con la presentazione di Filiberto Menna.

Bruno mi mise all'opera, il suo chiodo fisso era - e lo è tutt'ora - la sua Ravello: gli artisti non si potevano sottrarre, dovevano, ognuno col proprio linguaggio, restituirne la magia. Girai ogni angolo, mi immersi nel rigoglio delle piante e dei fiori, respirai a fondo la storia, la cultura, assaporai il silenzio delle stradine deserte, l'aristocrazia dei palazzi, le pennellate di cobalto che trasparivano da balconi e finestre proiettati sul mare.

Tre anni di lavoro, ne scaturiva mostra Acquerelli, come location la cappella di Villa Rufolo. Fu una sorta di apripista, la riscoperta di uno spazio, da allora una cappella si è consacrata all'arte. Era maturo il tempo per aprire una galleria, la prima a Ravello, città degli artisti e non solo della musica che sembrava aver dimenticato il suo rapporto con le muse. Nel 1983 Bruno aprì a via Roma, in collaborazione con Gabriele Mansi Il Punto, ancora una volta fui io ad inaugurare le sue stagioni espositive con la raccolta di olii La Costa d'Amalfi.

Il professore ceramista. Gli anni post '68 portarono una piccola rivoluzione culturale anche nella sonnolenta Ravello, abbarbicata alle consolidate tradizioni dei concerti a Villa Rufolo e della mentalità della piazza. Bruno e Gabriele non erano i solio a voler portare una ventata di nuovo. Tra i "ribelli" c'era anche Pippo Buonocore, docente e appassionato di ceramica. Con i pochi risparmi mise su un piccolo laboratorio a due passi dal Duomo, la sua idea era di innovare il modello Vietri, restare fedele alla mediterraneità ma non segni e forme moderne. Il suo progetto mi ha incuriosito. Ho risposto, così, anche alla chiamata alle arti di Pippo, è stata una sfida appassionante, alla fine vincente. Mi sono svincolato dalle impostazioni per far ceramica alla vietrese ed ho coniato una mia cifra, riconoscibile, sospesa come nella mia pittura tra realtà e immaginazione. Nel 1981 Pippo ci lascia, il suo sogno doveva continuare. Con il fratello Fausto, Bruno Mansi e Massimo Bignardi onoriamo la sua memoria - era il 1986 - con la mostra Ceramiche a Villa Rufolo. Ne ho fatte altre negli anni successivi - le più apprezzate da pubblico e critica Blu di Delft dell'86 e Verde Ramino dell'89 - il mio, il nostro ricordo resta legato a quel tentativo di "colorare l'aria che anima la piazza di Ravello, coronata dall'anonima facciata della Cattedrale".

Dalla bottega di Fausto Buonocore - scrisse Massimo Bignardi nel catalogo che accompagnava quell'esposizione - e dalla piccola galleria Il Punto continueranno a salire al cielo, come fumo di vecchia fornace, i colori degli oggetti, riempiendo di gioia l'aria.

I giardini del mito. E' stata mia madre a trasmettermi l'amore per le piante. I suoi cugini avevano una masseria ad Olevano, era il nostro buen retiro dei giorni di festa, il mio primo immergermi nella natura. Mamma mi ha insegnato i nomi delle erbe, dei fiori, la bellezza ingenua di una pratolina o di una timida violetta. Ho ritrovato la mia infanzia quando ho scoperto i giardini segreti di Ravello, ho provato così a raccontare questo borgo delle meraviglie dando voce alle piante, agli alberi, ai fiori. Disegni, schizzi, acquerelli, olii: è nata la mostra I Giardini di Ravello presentata nella Chiesa di Santa Maria a Gradillo da Carlo Knight e Domenico De Masi. Ho cercato di non cedere all'oleografia, spero di esserci riuscito, il mio intento è stato di donare allo sguardo dello spettatore le emozioni del mio sguardo. Villa Rufolo, Villa Cimbrone, la Rondinaia, il belvedere della Principessa, Villa Eva con le loro composizioni eterogenee e armoniose, i malinconici cipressi, le tenere pervinche, i ciliegi selvatici, i docili ciuffi di canna, il basilico odoroso: Mediterraneo e dialogo con le brume nordiche, testimonianze vive della presenza, entro la cornice seducente di questo paesaggio, dei personaggi che hanno fatto di Ravello quello che Ada Patrizia Fiorillo chiama l'albergo dei miti. E' entrata a far parte di me: è diventato, come scrive Patrizia, "il teatro del mio quotidiano", l'opportunità di trasformare in poesia l'inquietudine e i problemi che attanagliano il mio essere nel mondo presente".

Wagner, Grieg, Lord Grimthorpe, Virginia Wolf, Nevile Reid, Greta Garbo, Gide, Foster, Vidal, si sono intrecciati al mio viaggio interiore, sono diventati, nel mio immaginario, il Viaggio, il titolo che ho dato alla personale del '95 a Gradillo. Racconti fioriti... nel '99 ho subito ancora una volta il richiamo dei giardini di Ravello, realizzando la mostra Ravello fior da fiore: Rossella Sleiter mi ha battezzato il pittore botanico, un titolo impegnativo ma che, soprattutto pensando a mia madre, mi inorgoglisce.

L'eremo e la piazza. Era inevitabile il trasferimento da Minori a Ravello. Nel '91 acquistai una casa nella minuscola frazione di Torello: un gruppuscolo di abitazioni raccolte intorno alla chiesetta romanica, dappertutto orti e limoni, sullo sfondo il mare. Uno scenario di intimità agreste, così lo definisce Carlo Knight che è convinto che lo abbia scelto perché sono "un artista francescano". E' vero, amo il silenzio e solo a Torello riesco a dipingere e a disegnare. La piazza di Ravello, cuore pulsante della cittadina, mi distrae, troppo chiassosa, troppo mondana. Eppure non riesco a resistere alle sue tentazioni: è il luogo dell'incontro, dell'"ozio nobile", e, perché no, del gossip. La vivo meglio di notte, quando si allontana lo sciame schiamazzante dei turisti e allora do sfogo all'unico mio vizio: lo scopone.

Per tutta l'estate, dalle 23 in poi, il bar di Fausto si trasforma in campo di gioco per la sfida annuale che mi vede, al fianco di Isaia Sales, rivale dei bravissimi Bruno Mansi e Gigino Salucci. A tifare per l'una e l'altra coppia la nostra ristretta comitiva: Pasquale Cappuccio, Tonia Cardinale, Gigi Alfano, Francesco e Virginia Franzesi, Gertrude e Gabriele Mansi, emia sorella Anna, affettuosa presenza nel mio eremo di Torello.

È il mio piccolo mondo, la mia famiglia ravellese.

 

Ricordiamo, inoltre, che a metà aprile prossimo, presso Palazzo Sant'Agostino a Salerno e poi a Ravello nel mese di luglio, si terrà una mostra in ricordo di Paolo Signorino. Si tratta di una retrospettiva per ricordare l'artista a un anno dalla scomparsa e una occasione per rivedere le principali opere della sua esperienza artistica dalle vedute di Battipaglia e Angri, appartenenti agli anni di formazione e agli esordi espositivi degli anni Sessanta; dai boulevard disegnati a Parigi alle architetture liberty milanesi; dagli interni borghesi di Salerno al lungo lavoro ispirato dalla Costiera Amalfitana , indagando il suo rapporto con il paesaggio, con gli oggetti, con la natura e come il suo linguaggio sia sviluppato in una riflessione sulla pittura in bilico tra disegno e fotografia, tra la seduzione del colore e implicazioni memoriali.

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