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Ravello, Notizie, Chiesa Cristiana, Cattolici, Domenica 9 Febbraio 2020 - V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Sono gli uomini di buona volontà la luce del mondo

dal portale www.chiesaravello.it

Inserito da (admin), domenica 9 febbraio 2020 17:29:57

Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione.

 

Is 58, 7-10

 

Dal libro del profeta Isaìa

Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi!".
Se toglierai di mezzo a te l'oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all'affamato,
se sazierai l'afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».

Sal.111

RIT: Il giusto risplende come luce.

Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l'uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.

Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.

Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s'innalza nella gloria.

1 Cor 2, 1-5

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

Mt 5, 13-16
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli".

 

Uomini luce del mondo

Il brano evangelico è nel contesto delle beatitudini. Coloro che sono proclamati beati, non lo sono solo per se stessi, ma anche nei confronti del mondo; essi, per le realtà terrestri, sono luce e sale. «Voi siete la luce del mondo»; Gesù ha detto queste parole in primo luogo ai credenti, ai discepoli che sono i poveri, i miti, coloro che hanno fame e sete di giustizia... Essi sono luce non tanto perché appartengono di fatto alla Chiesa, o hanno una dottrina di salvezza da comunicare, e neppure perché sono uomini di preghiera e fedeli al culto; quanto e perché in primo luogo sono poveri, miti, puri di cuore, operatori di pace...

Vedano le vostre opere buone

Lo sottolinea la prima lettura. Al popolo ebraico preoccupato della pratica esteriore ed irreprensibile dei culto, indaffarato a ricostruire il tempio distrutto, Dio ricorda che, più dello splendore del culto, gli è gradito l'ospitare i senza tetto, il dividere il pane con l'affamato... «Allora sì la tua luce sorgerà come l'aurora». Non basta pregare e digiunare. La preghiera e il digiuno devono essere uniti all'azione «per far brillare fra le tenebre la luce». L'astinenza dal cibo conta poco, se non è per nutrire l'affamato.

Come, in concreto, il discepolo può diventare «sale della terra e luce del mondo », lo dice chiaramente anche il vangelo quando conclude: «Vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli». Non sono le parole che testimoniano la venuta del regno di Dio, ma il pagare di persona, il compromettersi negli avvenimenti costruttivi. Il discepolo deve dissolversi, penetrare profondamente nel mondo per dargli il gusto nuovo, il fermento di salvezza portato da Cristo.

Nel rito del battesimo il sacerdote affida al padre del battezzando una candela accesa al cero pasquale. Cristo risorto è la «luce». Il battezzato è l'«illuminato» che si inserisce nella morte-risurrezione di Cristo. Vivere la luce è l'impegno che l'attende: lo Spirito lo «muove», lo «trascina». Le «azioni della luce» sono azioni dello Spirito; e in lui non c'è posto per presunzione, vanto, superbia personale...

Dov'è oggi la luce che salva?

Il vangelo parla di sale insipido che «a null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini». Si parla di luce nascosta «sotto il moggio». E' un invito a saggiare la qualità del nostro sale di cristiani d'oggi, e a vedere con quali paralumi abbiamo nascosto la luce del vangelo. La concretezza di Isaia non ci permette di giocare o sottilizzare con la parola di Dio.

Gli affamati nel mondo si contano a centinaia di milioni anche oggi; e sono sempre in aumento perché così comanda la ferrea logica di un sistema economico disumano che raccoglie ricchezze sempre più grandi nella casa di chi è sazio e spoglia inesorabilmente chi è nella miseria. Il disagio diventa imbarazzante quando gettiamo uno sguardo sulla carta geografica della fame, della miseria e dell'oppressione. I paesi «tradizionalmente cristiani» stanno sulla sponda della ricchezza, dell'opulenza.

Segno o schermo?

E allora sorge la domanda se anche noi cristiani non sosteniamo un sistema che è ingiusto e oppressivo dei debole e del povero. La povertà del terzo mondo e la geografia del sottosviluppo non si spiegano parlando di rifiuto della tecnica o di pigrizia congenita e irrimediabile, ma del secolare sfruttamento delle materie prime, della sottomissione forzata ad una razza, del commercio internazionale basato sull'intimidazione o sul boicottaggio, sugli «aiuti» internazionali come modo di disfarsi utilmente di merci inutili. E allora rimane un interrogativo: la luce di Cristo illumina ancora questo «mondo» o non invece un «mondo nuovo» verso il quale dobbiamo muoverci come in un esodo?

La comunità cristiana d'oggi rischia di nascondere sotto pesanti schermi la luce di Cristo. La non-coscienza della solidarietà nella testimonianza, il disinteresse per una espressione comunitaria della nostra fede, la politica del lavarsi le mani dei fatti in cui non si giocano i nostri interessi, l'intervento ingenuo in difesa dell'«ordine costituito» impediscono alle nostre comunità ecclesiali di fare luce. E necessaria una continua riflessione affinché le strutture non diventino schermo o controtestimonianza della nostra Chiesa. E la riflessione deve divenire azione, con saggezza ed efficacia, per non distruggere nulla di valido, per far germogliare i semi di bene che sono presenti dovunque e che attendono un buon terreno, una coltivazione solerte e il fiducioso ricorso all'aiuto decisivo di Dio.

Comprendere la grazia di Dio

Dal «Commento alla Lettera ai Galati» di sant'Agostino, vescovo

(Introduzione; PL 35, 2105-2107)

L'Apostolo scrive ai Galati perché capiscano che la grazia li ha sottratti dal dominio della Legge. Quando fu predicato loro il vangelo, non mancarono alcuni venuti dalla circoncisione i quali, benché cristiani, non capivano ancora il dono del vangelo, e quindi volevano attenersi alle prescrizioni della Legge che il Signore aveva imposto a chi non serviva alla giustizia, ma al peccato. In altre parole, Dio aveva dato una legge giusta a uomini ingiusti. Essa metteva in evidenza i loro peccati, ma non li cancellava. Noi sappiamo infatti che solo la grazia della fede, operando attraverso la carità, toglie i peccati. Invece i convertiti dal giudaismo pretendevano di porre sotto il peso della Legge i Galati, che si trovavano già nel regime della grazia, e affermavano che ai Galati il vangelo non sarebbe valso a nulla se non si facevano circoncidere e non si sottoponevano a tutte le prescrizioni formalistiche del rito giudaico.

Per questa convinzione avevano incominciato a nutrire dei sospetti nei confronti dell'apostolo Paolo, che aveva predicato il vangelo ai Galati e lo incolpavano di non attenersi alla linea di condotta degli altri apostoli che, secondo loro, inducevano i pagani a vivere da Giudei. Anche l'apostolo Pietro aveva ceduto alle pressioni di tali persone ed era stato indotto a comportarsi in maniera da far credere che il vangelo non avrebbe giovato nulla ai pagani se non si fossero sottomessi alle imposizioni della Legge. Ma da questa doppia linea di condotta lo distolse lo stesso apostolo Paolo, come narra in questa lettera. Dello stesso problema si tratta anche nella lettera ai Romani. Tuttavia sembra che ci sia qualche differenza, per il fatto che in questa san Paolo dirime la contesa e compone la lite che era scoppiata tra coloro che provenivano dai Giudei e quelli che provenivano dal paganesimo. Nella lettera ai Galati, invece, si rivolge a coloro che erano già stati turbati dal prestigio dei giudaizzanti che li costringevano all'osservanza della Legge. Essi avevano incominciato a credere a costoro, come se l'apostolo Paolo avesse predicato menzogne, invitandoli a non circoncidersi. Perciò così incomincia: «Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo» (Gal 1, 6).

Con questo esordio ha voluto fare un riferimento discreto alla controversia. Così nello stesso saluto, proclamandosi apostolo, «non da parte di uomini, né per mezzo di uomo» (Gal 1, 1), — notare che una tale dichiarazione non si trova in nessun'altra lettera — mostra abbastanza chiaramente che quei banditori di idee false non venivano da Dio ma dagli uomini. Non bisognava trattare lui come inferiore agli altri apostoli per quanto riguardava la testimonianza evangelica. Egli sapeva di essere apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre (cfr. Gal 1, 1).

Commento di Paolo Curtaz

 

Non abbiamo incontrato il Signore per tenerlo chiuso dentro ad un cassetto. Non siamo diventati discepoli per accamparci dentro una sacrestia o all'ombra del campanile. Abbiamo incontrato il fuoco del a Vangelo per bruciare. Abbiamo lasciato le reti che ci legavano per diventare pescatori di umanità. Abbiamo visto, fra la folla che ingombra le nostre giornate, quel neonato luce per le Nazioni. Per raccontare ciò che abbiamo visto e udito, a volte anche con le parole. Per dire di Dio. Per contagiare con la luce. Non per illuminare, non scherziamo, nessuno converte nessuno. Ma per vivere da illuminati. Per essere sale che dona sapore alla vita. Per essere un lume acceso che inonda di luce la stanza. Beati Il Vangelo che abbiamo letto oggi conclude la pagina più folle e magnifica del vangelo di Matteo. Quella in cui Gesù, come un nuovo Mosè, parla delle Beatitudini che portano a pienezza le Dieci parole date ad Israele sull'Oreb. Il segreto per vivere una vita felice. Quanto la desideriamo! E quanto inutilmente la cerchiamo nelle direzioni sbagliate! Gesù è stato chiaro: sei beato, cioè felice, se il tuo cuore è puro, mendicante, giusto, bramoso di pienezza, disposto a lottare anche se perseguitato, capace di superare il pianto e il dolore. Sei beato perché ti scopri amato. Beato perché hai scoperto di non essere frutto del caso, ma hai scoperto di essere amato. Esattamente come sei. E se ti scopri amato a prescindere, senza meriti, senza qualità, senza condizioni, diventi ciò che non pensavi di poter essere. Capace di amare. Sono beato, sì. Sono felice, certo. Non perché sono giunto a destinazione. Ma perché, ne sono certo, sto camminando nella giusta direzione, quella della compassione. Quella della misericordia. Quella dell'abbraccio di Dio. Guaritori feriti So già cosa molti di voi hanno pensato. Non sono capace, non sono in grado, non posso farcela. Troppe ferite, troppi limiti, troppi difetti, troppa paura, troppa poca fede. No, non è così. il discepolo sempre e per sempre resta ferito, sempre e per sempre deve combattere contro le sue paure, le sue ombre. Ma, paradossalmente, siamo scelti proprio perché feriti. Diventiamo dei guaritori feriti, peccatori perdonati, non brilliamo di luce propria, non scherziamo, non siamo diversi o migliori. Siamo stati accesi. Come scrive Paolo ai Corinzi: io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Non dobbiamo convincere, ma essere. Non dobbiamo vendere un prodotto, ma accogliere e vivere una novità di vita. Non dobbiamo far luce, ma restare accesi attingendo alla fiamma viva della Parola. Non portiamo noi stessi ma un Dio donato. Guaritori feriti che sanno riconoscere il dolore di chi incontriamo, compatirlo, e orientarlo verso la guarigione profonda operata dal Maestro. Peccatori perdonati, proprio per avere conosciuto la tenebra e l'ombra, sanno incoraggiare i peccatori, senza giudicarli e senza ingannarli. Come? La candela non sa di far luce, è accesa. Brucia. E si consuma. Isaia ci indica il percorso, il modo concreto di restare sale, di brillare della luce di Dio. Vivere nella giustizia, anzitutto. Senza compromessi, senza pigrizia, senza cedimenti. Coerenti senza diventare fanatici, misericordiosi, non intransigenti. Ed evitare di giudicare e di vivere schiavi del giudizio altrui. Purificare il linguaggio sempre più violento. Aprire il cuore alla compassione verso chi ha fame (di pane, di attenzione, di giustizia), saziare chi è afflitto nel cuore dedicandogli tempo e ascolto. Tutte cose che Cristo per primo ha vissuto. E che possiamo vivere nella Cafarnao in cui siamo, tirando fuori l'umanità dal nostro cuore e dalle persone che incontriamo. È così povero di verità e di umanità questo nostro mondo! Così insipido e scuro! Così rassegnato e pieno di rabbia! Persone scontente, sempre, di tutto, che alternano momenti di cupa rassegnazioni a scatti d'ira e di follia! A tutti possiamo dare sapore, a tutti possiamo indicare una strada, un percorso. Perché noi per primi lo abbiamo ricevuto. Allora Anni fa, alle saline di Margherita di Savoia, ho scoperto una cosa che mi ha destabilizzato: il sale non può perdere il suo sapore. Sono rimasto spiazzato. Ma allora cosa intende dire il Maestro? Se hai perso il sapore, è perché non sei mai stato sale. Che sia questa l'origine della profonda crisi che sembra attraversare la fede delle nostre comunità? Se fosse, semplicemente, questa la ragione di tanta stanchezza, di tante inopportune contrapposizioni, di tanto vittimismo? E se, allora, questo magnifico tempo di grazia, non di disgrazia, ci fosse donato per tornare alla sorgente della luce? All'origine del sapore delle nostre vite? Possiamo essere un enorme e svettante cero pasquale, o un piccolo lumino scaldavivande. Ma se non siamo accesi siamo solo un pezzo di cera. Seguire Gesù agnello di Dio, accogliere come reale possibilità di vita le beatitudini, accendono il nostro cuore, danno sapore alla vita. Alla nostra e a quella degli altri. Così, senza nemmeno saperlo, la luce che ci abita illumina il cuore degli altri. Che rendono gloria a Dio, non a noi, che lodano la luce, non la fiamma o la candela. E così, tutti, accesi, illuminati, insaporiti, costruiamo il Regno. Come il sale, ne basta un pizzico per dare sapore.

 

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